La Storia
Da 350 anni sulla terra
Le prime notizie sul nostro teatro compaiono nelle Memorie antiche di Budrio (1663-1690) del frate servita Domenico Maria Baldassarri. Egli racconta che Paolo Sgargi (o Sgarzi), ricco proprietario budriese, spinto dalla constatazione che “in questa Terra di Budrio la gioventù quasi tutta, per certa innata inclinazione, è dedita a recitare ne’ teatri”, il 26 ottobre 1672 gettò le fondamenta di un teatro, annesso alla sua abitazione nella “Strada Lunga di S. Domenico” (ora via Garibaldi). Tale motivazione doveva aver qualcosa di vero se, quasi nello stesso periodo, anche il sacerdote Don Giambattista Fracassati, discendente di una nobile casata budriese, amante delle lettere, aveva eretto un “teatro da comedie per comodo della Gioventù di Budrio”, nell’attuale via Marconi, come scrive lo storico Domenico Golinelli (Memorie istoriche di Budrio, 1720). La presenza di due teatri nel breve tratto delle mura conferma l’entusiasmo dei budriesi per l’arte drammatica, già manifestata nel successo tributato, nel primo decennio del 1600, al “comico” Francesco Rivani di Vedrana, chiamato a recitare alle corti italiane ed estere, che aveva creato e portato sulle scene la prima maschera budriese: il Dottor Campanazzo da Budrio, raffigurazione satirica del Dottore dell’Università di Bologna, precursore del più famoso Balanzone.
Mentre il Teatro da Commedie scompare nei documenti già dalla seconda metà del Settecento, il teatro di Paolo Sgargi arriverà, con varie trasformazioni, fino a noi. Alla morte di Paolo nel 1691, fu ereditato dal figlio Giambattista. Abbiamo un solo documento che attesta l’attività del teatro in questo periodo: la notizia apparsa il 16 ottobre 1696 sul foglio settimanale “Bologna”, della rappresentazione di “un’opera bellissima intitolata L’incostanza costante” del budriese Giuseppe Maria Cesari, cui “concorsero molte dame e cavalieri“. Nel 1724 passò in eredità alle figlie di Giambattista, che finirono per venderlo, nel 1735, al notaio Giuseppe Maria Boriani: lo stato dell’edificio risultò tanto degradato da far supporre che già da tempo fosse poco utilizzato. Il Boriani, discendente da una ricca famiglia budriese, che fin dal ‘500 possedeva nella stessa via uno sfarzoso palazzo (oggi sede della Biblioteca), se ne prese cura e il teatro molto probabilmente riprese la sua attività, come possiamo supporre da alcuni indizi: la notizia della rappresentazione nel Carnevale 1742 di un’opera del dammaturgo Giovanni Granelli; la presenza nell’Archivio storico comunale di alcuni Bandi emessi nel 1786 e 1787 dal Cardinal Legato di Bologna, contenenti le norme cui doveva attenersi il pubblico dei teatri del territorio, e soprattutto i numerosi scenari di pregevole fattura presenti nell’inventario dei beni – fra cui il teatro – di Giuseppe Maria Boriani junior da lui lasciati in eredità all’Opera Pia Bianchi (1793) .
Non rimane nessun documento ad attestare il funzionamento del teatro negli anni seguenti, ma il 20 gennaio 1802, in piena epoca napoleonica, assistiamo a un evento fondamentale per il suo futuro: viene acquistato dal Consorzio dei Partecipanti (o Partecipanza), antica istituzione budriese che affiancava da secoli il Comune. Diventa così un bene comune, e l’attributo Consorziale attribuitogli resta da allora a caratterizzarlo. Il Consorzio dei Partecipanti, che già per il suo acquisto aveva affrontato un grosso impegno di spesa, si dedicò alla sua ristrutturazione con un progetto coraggioso anche sul piano economico. I lavori furono affidati al capomastro budriese Vincenzo Boriani, che oltre ad alzare il soffitto del palcoscenico e della platea, ampliò l’edificio ricavando i camerini da locali annessi dalla adiacente casa Sgargi, e lo abbellì con tre eleganti ordini di palchi, sorretti da colonne.
Lavori imponenti ma veloci, se in alcuni “Avvisi” del 1804 e 1805 il teatro appare già funzionante con spettacoli che spaziavano dalle tragedie alle commedie ed erano interpretati da compagnie bolognesi e dalle due esistenti a Budrio: i Dilettanti di Comica e i Dilettanti di Teatrale Declamazione. Venivano messi in scena anche i drammi del budriese capitano Domenico Inzaghi – colui che donerà alla Partecipanza la sua collezione di quadri (la Pinacoteca). Il teatro rinnovato diventò un vanto per il paese, tanto che per la visita del Prefetto napoleonico del Reno nel 1807 fu scelto come luogo per onorare l’ospite, con luminarie e rappresentazioni. Anche gli arredi di scena si erano arricchiti: ai prestigiosi scenari dell’architetto, pittore e scenografo budriese Faustino Trebbi si aggiunsero, nel 1811, quelli del concittadino Francesco Cocchi, docente all’Accademia di Bologna e artista molto noto, e, negli anni seguenti, quelli del pittore budriese Luigi Sacchi. Erano state acquistate pure tre “macchine sceniche” per creare il tuono, la pioggia e il vento e 100 seggiole per i palchi: tutti segnali di una intensa attività. Nel 1821 fu inserita una novità nella programmazione: il filone operistico, con la rappresentazione de “L’italiana in Algeri” di Rossini. Contemporaneamente, grande fu sempre la cura dei locali, con interventi importanti di sistemazione del palcoscenico e della sala. Spettacoli lirici di alto livello con cantanti noti, veglioni carnevaleschi sontuosi, cui accorreva pubblico anche dal Ferrarese, dalla Romagna e da Bologna contribuirono a consolidare, nella seconda metà dell’Ottocento, la fama del Consorziale, sempre più frequentato.
Ma la Partecipanza, attenta al ruolo di bene della Comunità che gli aveva attribuito, lo concedeva spesso anche per altre attività che coinvolgevano la cittadinanza, come i concerti e le lezioni della “Università popolare budriese”, gratuite e aperte a tutti, tenute anche da Quirico Filopanti; o gli incontri con oratori illustri, dallo stesso Filopanti ad Andrea Costa e Aurelio Saffi. In teatro si celebrò per la prima volta, nel 1893, la festa del Primo maggio. Negli anni del primo conflitto mondiale, interrotta fin dall’inizio ogni programmazione e chiuso al pubblico, il teatro venne affittato per un breve periodo per l’essiccazione dei fiori di tiglio dei nostri viali, che, venduti per uso farmaceutico, costituivano una piccola risorsa economica. Ma ben presto fu requisito dal Comando militare e adibito ad alloggio per i soldati ed infermeria. Le carte del 1919, alla fine della guerra, descrivono il teatro in uno stato di degrado gravissimo: impossibile pensare a un restauro, bisognava procedere ad una vera e propria ricostruzione. I 133 Partecipanti cedettero per cinque anni le loro quote di riporto e offrirono anche un quarto del ricavato dalla vendita della grande tenuta “Boscosa”, avvenuta nel 1922, mentre l’Amministrazione comunale, numerose associazioni e privati cittadini concorsero per raggiungere la cifra necessaria. Nell’ottobre del 1924 si iniziarono i lavori affidati alla “Società capimastri di Budrio”, e il 6 ottobre 1928 il rinnovato teatro fu solennemente inaugurato con l’allestimento de “La Gioconda” di Amilcare Ponchielli. La ricostruzione aveva mantenuto il precedente elegante impianto, abbellito dalla delicata decorazione del pittore Armando Aldrovandi, che ancor oggi ammiriamo. La programmazione riprese con rinnovato vigore e spettacoli lirici e drammatici di rilievo, con la partecipazione di artisti di fama. Quando, nel 1931 la Partecipanza venne sciolta, il Consorziale passò, con gli altri suoi beni, al Comune, continuando la programmazione ininterrottamente fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Alla fine del conflitto, dopo parziali restauri, ricominciò subito a funzionare e ricominciarono pure i famosi veglioni di carnevale. Numerosi furono gli interventi di manutenzione negli anni Sessanta, mentre nel 1986 fu portato a termine un ampio progetto di restauro complessivo con adeguamento alle nuove norme di sicurezza. Intanto la fama del Consorziale cresceva grazie a una programmazione molto ricca e di qualità, con compagnie di fama nazionale e grandi protagonisti della scena artistica, da Salvo Randone ad Alberto Lupo, da Carla Fracci a Luciano Pavarotti, da Alberto Lionello a Tino Buazzelli, a Valeria Moriconi, ad Alida Valli, da Giorgio Gaber a Lucio Dalla, da Renata Tebaldi ad Anselmo Colzani, al quale, poi, fu intitolato un importante “Concorso Internazionale di canto lirico”, istituito dal Comune insieme alla famiglia Colzani dal 2004 al 2016. E un altro grandissimo artista scelsce il Consorziale per le sue prime nazionali, essendosi innamorato non solo del teatro, ma anche del paese: Paolo Poli, con la sua grande arte, dal 1996, con “I viaggi di Gulliver” fino al suo ultimo spettacolo, “Aquiloni” (2012) ci ha riempito di cultura e di eleganza, regalandoci spettacoli indimenticabili e facendoci sentire orgogliosi del nostro teatro.
Chiuso dal dicembre 2018, il Teatro consorziale ha ripreso la sua programmazione nell’ottobre 2022, una volta terminati i lavori di adeguamento normativo e strutturali.
Testo a cura di Lorenza Servetti
Grazie a Maurizio Poli per le foto.